“HAI L’HIV?”, “QUANDO TI SEI TESTATO L’ULTIMA VOLTA?”: GRINDR FA DOMANDE E CONDIVIDE CON TERZI I DATI PERSONALI

A scoprirlo è stato un gruppo no-profit norvegese, Sintef, insieme all’emittente svedese Svt. La compagnia ha risposto annunciando di aver interrotto la condivisione dei dati e respingendo similitudini con la vicenda di Cambridge Analytica. Stando all’indagine scandinava, Grindr avrebbe condiviso i dati sensibili, in forma crittografata, con la società Apptimize, che ottimizza le app, e con Localytics, che fornisce uno strumento con cui valutare le prestazioni delle app. Tra questi dati ci sarebbe quello sull’Hiv. Gli utenti di Grindr possono infatti scegliere se far sapere agli altri la data e il risultato dell’ultimo test fatto.
Il responsabile della sicurezza di Grindr, Bryce Case, intervistato dal sito Axios e da altri media ha spiegato di aver interrotto la condivisione, di aver cancellato i dati sull’Hiv da Apptimize e di essere in procinto di rimuoverli da Localytics. Il manager ha quindi evidenziato che i dati, cifrati, non sono stati venduti a terzi né usati a scopi pubblicitari. Case ha poi rimarcato la diversità con il caso Cambridge Analytica. C’è differenza, ha detto, tra una “piattaforma software che utilizziamo per scopi di debug e ottimizzazione”, e “un’azienda che cerca di influenzare le elezioni”.

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È scoppiata la bomba. I nostri dati sensibili sono stati distribuiti a terzi dall’app d’incontri Grindr, usata da molti di noi maschi gay (ma non solo) per incontrare amici, eventualmente fidanzati, ma più frequentemente e più prosaicamente realizzare sogni erotici coi nostri vicini di casa.
Non ho fatto in tempo a svegliarmi stamattina che il bel ragazzo con cui condivido il letto da qualche giorno (grazie Grindr) mi dà la notizia: “Leggi qui: Grindr condivide i nostri dati personali, incluso lo stato sierologico”. Aziende terze riescono quindi a sapere dove ci troviamo e le nostre risposte a due domande precise che l’app fa a tutti gli utenti quando attivano il profilo: “Hai l’Hiv?” e “Quando ti sei testato l’ultima volta?”.
Di fronte a tanto sgomento, non ho potuto far altro che girarmi dall’altra parte, dargli un bel bacio in fronte, e riaddormentarmi. E questo non solo perché sappiamo benissimo che quando condividiamo le nostre informazioni sui social e sulle app d’incontri, queste possono essere utilizzate da chiunque passi sotto casa nostra o si posizioni vicino a noi con app come Fake GPS. E onestamente mi fa più paura il coinquilino criptochecca sposato e pubblicamente omofobo piuttosto che i proprietari della mia app di rimorchio preferita.
Ho fatto spallucce soprattutto perché a quella domanda, se avessimo l’Hiv o no, non dovevamo proprio rispondere. Nessuno ha diritto di chiederci informazioni sulla nostra salute, tantomeno un’app. Non è un diritto di altri saperlo perché è un’informazione delicata, tuttora causa di discriminazioni sociali e di emarginazione.
Se è vero che l’isolamento si sconfigge con il cominig out, questo dev’essere una scelta autonoma della persona sieropositiva – fatta con consapevolezza – e non il frutto di un ricatto per cui sei sessualmente fruibile solo se esponi al pubblico i tuoi esami del sangue. Una forzatura che può portare molti a esporsi nell’illusione che questo dato rimanga fra loro e il potenziale partner di turno.

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